IL MIO AMICO TINO SCHEGGIA

Tino è arrivato da me  “a scatola chiusa”.

Non lo avevo mai visto e soprattutto non avevo mai avuto un capretto.

Emma e Paolina stavano beate in un altro campo, due caprette tibetane che ormai vivevano con me da diversi anni e non mi avevano mai dato problemi.

Ad attendere Tino c’era Nonna Milka una vecchia e dolcissima capra che un allevatore aveva deciso di regalarmi per farle trascorrere una serena vecchiaia senza più caprettini e mungiture.

Con gli amici avevamo costruito per  loro un ricovero in legno a forma di tenda canadese proprio nel mezzo dell’appezzamento che sarebbe diventato la loro casa.

Tino era molto giovane e il suo proprietario era riuscito a convincermi a prenderlo assicurandomi che sarebbe restato di dimensioni ridotte perché proprio non ne voleva sapere di crescere. Purtroppo i capretti maschi in un allevamento non servono a nulla e finiscono nella maggior parte dei casi al macello.

Il padre di Tino era un bellissimo caprone camosciato ed era il riproduttore dell’allevamento.

Per Tino non c’era spazio.

E così, con l’idea di dare un compagno a Nonna Milka nell’ ultimo periodo della sua vita, decisi di prendere Tino.

Tino arrivò a novembre e immediatamente mi rubò il cuore.

Un caprettino camosciato in miniatura con tanto di piccole corna arcuate e lucido pelo fulvo  tipico della sua razza.

Bellissimo e dolcissimo.

La vitalità di un caprettino è indescrivibile. Non è possibile essere tristi davanti a una creatura così perfetta e gioiosa, il solo guardarlo correre e saltare era una gioia.

Il vero nome di Tino era Scoreggia.

Così lo aveva chiamato il suo proprietario perché, mi raccontò, era talmente piccolo da ricordargli una scoreggia!

Non mi sembrava un nome dignitoso per una creatura così splendida, ero sicura che sarebbe diventato un meraviglioso caprone degno di un nome e di un cognome e così Scoreggia divenne Tino Scheggia.

Ovviamente parlai con il veterinario per programmare la sterilizzazione, il mio non è un allevamento ma un luogo dove gli animali possono trovare una casa per la vita per cui tutti i maschi vengono sterilizzati per evitare l’arrivo di piccolini che toglierebbero la possibilità ad altri animali in difficoltà di trovare un luogo dove vivere.

Il dottore mi disse che non c’era fretta, Tino Scheggia era troppo piccolo e troppo giovane per accoppiarsi con Nonna Milka, capra Saanen molto più’ grande di lui.

Rimandammo a cuor leggero l’operazione di un paio di mesi.

Tino si ambientò subito e fece immediatamente amicizia con Nonna Milka.

Erano veramente una buffa coppia.

Lei con il pelo bianco semi lungo, senza corna, con forse cinque denti e  una bellissima barbetta, lui con un pelo focato lucidissimo,  le corna scure ed arcuate ed un musetto furbetto strappa baci.

Quanti baci ho dato a quel musetto? Non lo so ma so che l’ho fatto sempre, ogni giorno, perché a Tino era impossibile resistere.

Dopo un paio di mesi nell’appezzamento arrivarono  dal Veneto anche due pecore ereditate da una signora che non poteva tenerle.

Le chiamai Renata e Chiara e la famiglia incominciò a crescere.

In verità non cresceva solo il numero degli abitanti del campo ma anche la pancia di Nonna Milka perché il piccolo Scheggia nonostante la giovane età e le dimensioni ridotte ,che il veterinario aveva evidenziato, si era follemente innamorato della nonnina ed aveva coronato il suo sogno d’amore.

Ed è così che il piccolo  Tino, che nel frattempo aveva iniziato a crescere diventando un bellissimo caprone, in una mattina di primavera divenne papà di due bellissimi caprettini: Alessio ed Alessandro ovviamente Scheggia!

Tino si comportò da compagno amorevole e padre attento allevando insieme a Nonna Milka i piccoli pargoli.

Entrare nel campo era un’emozione bellissima perché non vi era nessuna tensione, nessuna violenza solo tranquillità.

Una famiglia felice: mamma e papà, piccolini che giocavano e poppavano e le zie pecorone che osservavano da lontano.

Molte volte ho pensato a quanti danni Tino avrebbe potuto fare con le sue bellissime corna eppure non è mai successo nulla, non ha mai fatto del male a nessuno, si lasciava coccolare ed accarezzare da tutti ,grandi e piccini.

Con lui i bambini potevano scoprire la morbidezza del manto e la durezza delle corna ma soprattutto potevano incontrare un nuovo amico  dalla pazienza infinita.

Le corna a Tino servivano nella maggioranza dei casi per mangiare.

Prendeva la mela con la bocca e poi per morderla più facilmente torceva il collo e con le corna la teneva ferma sulla spalla mentre la sgranocchiava.

Questo era l’uso che faceva di quell’arma che la Natura dona ai caproni ma che lui non utilizzò mai per ferire anche se,, ogni tanto qualche cornata scappava quando i figli. poco riverenti. tentavano di soffiargli qualche bocconcino prelibato!

Dopo un paio di mesi dalla nascita dei capretti, padre e figli furono sterilizzati.

Ovviamente in clinica dopo una bella sedazione e non con i barbari metodi che vengono utilizzati negli allevamenti.

Penso che non si siano accorti di nulla perché non dimostrarono nessun cambiamento di carattere o di comportamento.

Ormai Tino era un caprone adulto.

Non era un caprettino  destinato a restare nano ma un vero caprone, regale e possente come in verità avevo supposto fin dal suo arrivo.

Ora Tino Scheggia era il re del campo con la sua femmina, i suoi figli e le zie pecorone.

Nonostante le sue dimensioni, ormai  pesava quasi sessanta chili, Tino restava sempre l’affettuoso capretto di sempre.

Al mattino mi aspettava al cancello e mi accoglieva alzandosi ed appoggiando le zampe sulla rete, allungava il collo affinché potessi depositare sul suo nasino nero ed umidiccio il bacio mattutino.

Iniziavano poi i litigi per la spartizione del cibo; lui era il re quindi doveva mangiare per primo, poi Nonna Milka, poi i figli e alla fine, forse, le zie pecorone.

Quando pulivo le casette o portavo il fieno Tino era sempre con me, attaccato come una cozza, curioso come un gatt0.

Bisognoso di coccole, di grattini e di baci, dolcissimo caprone.

Poi dava sfogo alla sua intrattenibile vitalità con corse sfrenate, porgendo il fianco ad un immaginario compagno di giochi e correndo di traverso.

Quante risate in quei momenti in cui tutta la sua vitalità e gioia di vivere si impossessavano dell’intero campo, quanta ammirazione avevo per quell’essere perfetto che mi ammaliava con quegli occhioni irresistibili.

 La vita di Tino scorreva tranquilla ormai da quattro anni presto avremmo festeggiato il quinto anno insieme, invece…

Una domenica mattina di fine estate mi accorsi che qualcosa non andava.

Tino non mangiava e non beveva, se ne stava appoggiato al muro con lo sguardo fisso.

In tarda mattinata si rifugiò nella sua casetta e mi sembrò che il rumine si fosse gonfiato.

Di domenica i veterinari si riposano, non sono raggiungibili quindi preparai un beverone nella speranza di risolvere il problema.

Farglielo inghiottire si rivelò un problema ma  alla fine qualcosina riuscii a fargli ingerire.

Il mattino dopo la situazione era ancor peggiore.

Tino non usciva dalla casetta, continuava a  non mangiare e bere, la dottoressa non era reperibile.

Non è facile trovare a Trieste un veterinario che sappia curare una capra e tutti quelli che normalmente chiamavo non erano disponibili fino a giovedì! Ed era lunedì.

Poi finalmente un veterinario, non di Trieste, riuscì ad arrivare in campo.

Tino non migliorava.

Sospetto blocco del rumine.

Un antidolorifico e un ruminativo per iniezione.

Non restava che attendere.

Al mattino dopo la situazione era ancora peggiore.

Tino non voleva uscire dalla casetta

Questa volta il ruminativo doveva essere dato per bocca.

Al povero Tino con molta difficoltà facemmo ingerire mezzo litro di ruminativo e il dottore continuò a somministrare l’antidolorifico.

Verso sera avrei dovuto nuovamente somministrargli mezzo litro di ruminativo.

Difficile da fare da sola così una coppia di amici, la stessa  che aveva costruito la casetta quand’era arrivato ed aveva assistito alla nascita dei suoi figli. si unì a me e a mio marito in quella che doveva essere l’epica impresa della somministrazione del pappone perché Tino, dopo la terapia iniettiva e il ruminativo. doveva iniziare a migliorare.

Ma non era così

Il suo pianto si sentiva già fuori dal cancello.

Dalla casetta uscivano lamenti che straziavano il cuore.

A forza Tino fu trascinato fuori dalla casetta.

Le zampe non lo reggevano più il corpo era squassato da tremende convulsioni.

Era impossibile dargli qualsiasi medicina per bocca.

Mi distesi accanto a lui sulla terra ed il fieno, gli presi la testa tra le mani e mentre le convulsioni scuotevano il suo corpo i nostri occhi continuavano a cercarsi. E in quegli occhi colmi di sofferenza e di terrore io mi sono persa.

Continuavo a dirgli che l’amavo e che tutto sarebbe passato.

I nostri occhi erano tutt’uno ed io sentivo l’immenso dolore che ormai devastava quel corpo così giovane e perfetto, quella massa di muscoli tesi nello spasmo che io non potevo e non riuscivo a calmare.

E allora gli raccontavo bugie e gli dicevo che tutto sarebbe passato e che non avrebbe più sofferto mentre al telefono imploravo il veterinario di venire a porre fine a quella tremenda agonia che non avrei augurato neppure al peggior nemico.

Non so quanto tempo ho passato in ginocchio vicino a lui, la sua guancia appoggiata sulla mia mano, impotente davanti al suo dolore mentre le convulsioni diventavano sempre più violente e il contatto dei nostri occhi si perdeva quando il dolore diventava più intenso per entrambi.

Ho visto la morte nei suoi occhi innumerevoli volte, cattiva, crudele e violenta e poi il terrore e la voglia di vivere ancora che si alternavano con una frequenza sempre più veloce.

Non l’ho mai lasciato, non ho mai smesso di accarezzare quel musetto che ho tanto amato nemmeno quando il sangue gli usciva dalla bocca perché si era rotto la lingua , nemmeno quando la siringa del dottore più volte si è insinuata nella sua giugulare per porre fine al suo tormento.

Fino alla fine Tino non voleva morire ed un pezzo del mio cuore è morto con lui.

I suoi occhi resteranno per sempre nella mia memoria perché gli occhi sono lo specchio dell’anima e quell’anima pura io non la dimenticherò mai

Ti amo Tino Scheggia Re dei caproni, per sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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